venerdì 10 luglio 2015

Hermann Nitsch a Palermo, le parole dell'artista in vista dell'inaugurazione

Alla vigilia della sua mostra palermitana, che una petizione ha provato a bloccare, Hermann Nitsch si racconta. Parlando di rituali, musica, sentimento tragico, performance e pittura. E di quanto il suo teatro non abbia niente a che fare con la violenza.

“Io profanai e sfinii la parola per esprimere qualcosa che stava dietro la parola, che la parola stessa non poteva più esprimere, e giunsi con ciò a plasmare la realtà. […] Il passo successivo fu la dissoluzione del linguaggio. L’eccesso divenne indicibile. Nacque una voluttà di dilaniamento della lingua e di distruttiva fisicità sillabica. […] La lingua si dissolse fino a raggiungere il nudo accecamento dell’urlo. La lingua frantumata dovette lasciare il posto alla carne dilaniata dell’animale uomo dio“. La scrittura aulica di Hermann Nitsch, figlia di un tormento filosofico tutto novecentesco, si afferma e si nega scandalosamente in questo passo, tratto dal saggio “La composizione testuale del teatro delle orge e dei misteri” (Napoli, edizioni Morra, 1994).





Il suo teatro non è un teatro di parola. Il logos esce di scena, l’orizzonte apollineo si eclissa, sacrificato nel nome del suo contrario: il disordine, la follia, l’impulso atavico, lo sguardo di Dioniso. Hermann Nitsch, con i suoi riti pagani ed il suo viaggio notturno, ha innanzitutto compiuto un assassinio. E non c’entrano qui gli animali. Nitsch – che non sacrifica nessuna creatura vivente  – ha ucciso semmai la parola. L’ha oscurata, l’ha lasciata deflagrare.

Un lavoro che sta fra la drammaturgia, la filosofia, l’antropologia e la pratica artistica. Un lavoro certamente già invecchiato, a mezzo secolo dalla nascita della body art, ma che per qualche ragione continua a turbare. Tanto da aver scatenato, in Sicilia, una polemica clamorosa. Migliaia di firme per bloccare la mostra, tra crociate animaliste, perbenismo popolare e speculazione politica, invocando persino la censura. In molti non sapevano nulla di quest’artista ottantenne, citato sui libri di critica e di storia dell’arte, esposto nei musei internazionali, acquisito da importanti collezioni; eppure tutti hanno partecipato al gioco pretestuoso del giudizio: “questa non è arte”. La mostra, tuttavia, si farà. Per volontà dell’assessore alla cultura Andrea Cusumano e con l’impegno dell’associazione Ruber Art Contemporanea.

“Io sono un drammaturgo e un drammaturgo deve lavorare con situazioni drammatiche, con la pena e la morte”, ci spiega. “Questo è sempre stato un tema centrale nell’arte drammatica, dal teatro antico fino alle arti performative. Per esempio nel Novecento si può citare il Teatro della crudeltà di Antonin Artaud. Un altro aspetto importante è il contesto culturale in cui viviamo: la religione cristiana è fortemente caratterizzata dall’elemento tragico; il Cristo dolente crocifisso è presente in tutte le Chiese. Mi interessano tutte le religioni, la mitologia e la psicoanalisi; Freud e Jung rappresentano la base della drammaturgia psicologica del mio lavoro”.

Continua Nitsch: “Sono molto interessato ai culti e ai riti, al tema del sacrificio. Io uso animali che la nostra società ha ucciso prima, animali già destinati alla macellazione. Mi interessa molto lo studio del corpo umano e  di quello animale, e trovo che ci siano molte analogie tra di loro. Nelle mie azioni uso esseri umani e animali morti, e ho grande rispetto per entrambi. Io non credo in una religione, ma in tutte le religioni”, ci dice. “E l’arte è come una religione: come quando Monet dipinge e ridipinge le stesse ninfee o come la ripetizione seriale delle serigrafie di Warhol. Il rituale è parte integrante di tutte le arti; è il metodo per creare, il leitmotiv.”

“Il mio lavoro si inserisce nella tradizione dell’happening, della performance art”, ci racconta Nitsch. “Sono orgoglioso di essere considerato uno dei fondatori di questo tipo di arte, sono molto amico di Allan Kaprow, Nam June Paik, Jonas Mekas… La mia pittura d’azione è il primo passo verso la performance.  L’uso del colore è per me importante perché connesso alla sensazione della materia pastosa. Se nella mia pittura quello che si evidenzia è la materia, nella performance aspiro all’attivazione di tutti i sensi”.

Ed ecco alcune note sul progetto di Palermo: “Il nero è il colore principale, soprattutto in questa mostra; nel 1997, quando ho realizzato la mia 40esima azione, ho dipinto di nero circa ottanta tele di grandi dimensioni: le ho intese come mausoleo alla memoria di mia madre, morta tredici anni prima. Sono in mostra a Palermo 40 tele di questa azione, grandi 1,90 x 3 metri; anche a Napoli ho mostrato tele nere. Penso che il sud Italia possa comprendere e condividere questa sigla espressiva: la drammaticità del nero ma anche la sua quiete. Quella della notte, del silenzio”.

“Sono influenzato da diversi generi: la musica primitiva, la musica rinascimentale italiana, il melodramma di Monteverdi, la musica barocca, Bach, Wagner. Ma anche Skrjabin, che ha voluto fare un novo teatro, il teatro del mistero. Attraverso la sua musica – che accompagnava con proiezioni di colori e stimolazioni olfattive – voleva raggiungere la redenzione. Penso anche a Schönberg, alla Scuola di Vienna e a Luigi Nono. Dal 1998 (durante l’azione di sei giorni a Prinzendorf) Andrea Cusumano ha saputo, meglio di chiunque altro, tradurre in linguaggio musicale le mie partiture visive. È la mia musica a stimolare la performance, mentre la performance stessa stimola la musica…”.

Che il linguaggio di Hermann Nitsch possa far discutere, sedurre o allontanare, piacere, disgustare o persino annoiare, non è solo lecito, ma assolutamente sano. Quando l’arte smette di essere rassicurante, provando a stimolare un pensiero dell’altrove, il dibattito e il dissenso si generano da sé. “Sicuramente la società è diventata più moralista, soprattutto rispetto all’idea dell’essere political correct. In realtà in giro c’è molta ipocrisia. L’arte contemporanea oggi? Mi pare sia molto tiepida, troppo legata al marketing. Abbiamo perso l’intensità di un tempo”.

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