Jeff Koons
Le sue scelte, e le sue intuizioni, sul tema della maternità sono acute e ficcanti. Ne “La Grande Madre” Gioni riesce con abilità a fotografare il passato, il presente e forse anche il futuro dell’arte. Riesce a trattare con i guanti i grandi maestri e a dare visibilità a chi forse non ha ancora avuto la giusta valutazione dalla storia.Si comincia con qualche video, con lavori di repertorio, ma già alla terza stanza di Palazzo Reale occorre stropicciarsi gli occhi davanti ad una colossale Fine di Dio di Lucio Fontana (collezione privata). Il responsabile delle guide ha dovuto sincerarsi molto bene con gli addetti di sala perché si tratta di una delle opere più preziose in mostra. Un gioiello che non vediamo passare all’asta da diversi anni ormai. La mostra prosegue in un nutrito viaggio nell’arte che si è nei decenni relazionata con la maternità, con la nascita, con la vita che comincia.
Dopo alcune sale si guadagna una strepitosa installazione composta con decine di passeggini, di Nari Ward. E dopo un passaggio fotografico interlocutorio è il turno della Venus di Jeff Koons. L’allestimento in una stanza così intrisa di storia ci ricorda la grande mostra dell’americano a Versailles. Non è possibile restare indifferenti, dal vivo, davanti alla potenza del crossing tra antico e moderno, davanti alla spettacolarità dei materiali, davanti alla magniloquenza delle dimensioni.
A questo punto non si è ancora a metà percorso. Si incontrano video, dipinti (uno straordinario lavoro di Marlene Dumas), installazioni.Serve tempo e cura, per immergersi e tentare perlomeno di ricordare una metà dei nomi e delle opere in esposizione.
Una curatela imponente, che finalmente rende giustizia alla sede espositiva per eccellenza di Milano, Palazzo Reale. Troppo spesso relegato a spazio dove importare mostre da cassetto assicurato già testate all’estero. La mostra chiuderà il 15 novembre.
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