martedì 12 gennaio 2016

Critiche e bufera sugli "stacchi" a Bologna per una mostra di Streer Art

Sono settimane che a Bologna vengono staccate dai muri opere di Street Art. Quelle firmate da nomi come Blu o Ericailcane. Dietro a tutto, un’opera in grande stile orchestrata da Roversi Monaco. Che porterà a un’importante mostra nei prossimi mesi.


Blu




Prima è intervenuto Christian Omodeo, che curerà la mostra di Street Art di Bologna insieme a Luca Ciancabilla. Secondo Omodeo le critiche sono sterili e propone un paragone difficilmente sostenibile: "Ha senso esporre i marmi del Partenone al British Museum o i quadri d’altare provenienti da chiese italiane nei più importanti musei stranieri? Ha senso un museo come il Quai Branly o gli oggetti che vi sono esposti dovrebbero piuttosto essere restituiti alla tribù e ai Paesi dai quali provengono? Aveva senso ridare all’Etiopia l’obelisco che si trovava a Roma, a due passi dal Circo Massimo?" dice il curatore, come si legge su arttribune, a cui risponde serratamente uno street artist che in estate era salito agli onori dell cronaca per un fatto simile di stacchi, Flavio Favelli.

Ecco le sue parole, con fonte sempre artitribune: "La sola cosa che salvo della Street Art è che è fatta per non finire in un salotto. Se si sceglie il muro, anziché la tela o il quadro, è essenzialmente per tre motivi: si vuole stare alla larga dai luoghi tradizionali dell’arte, si ha un linguaggio poco attrezzato per addentrarsi in quella contemporanea e si ama troppo la strada.
La Street evita il mondo dell’Arte sia perché quest’ultima è troppo difficile, sia perché è troppo corrotta – ci girano soldi e istituzioni. La Street è antagonista all’Arte.
Un cane/cartone animato, due poliziotti che si baciano o uno squalo fatto di banconote sarebbero dei soggetti banali e insulsi per una tela, buoni al limite per una vignetta, ma giganteggiando su un muro degradato si ammantano di un certo non so che che dona loro uno status differente. È il contesto che è sacro, perché è sacra la strada, il posto più libero, sporco e maledetto che ci sia, oltre al fatto che tutto è illegale. Maledizione e illegalità, shakerati con la creatività, seducono. Oppressa da carte bollate, permessi condominiali, delibere e certificati di conformità, la Street sembra offrirci – forse per pochi attimi, giusto prima di voltare l’angolo – un’altalena colorata a volte spensierata a volte cigolante fra mille immagini.

Ogni azione di Street Art si relaziona al muro, che non è un semplice supporto, ma partecipa a un contesto e a un territorio dove il soggetto è pensato ed eseguito per vivere in quello scenario che per sua natura gli appartiene. I muri parlano perché hanno una storia e le figure si relazionano a questo immaginario.
Un murale vive dell’identità del luogo e molto spesso il murale è la domanda – o la risposta – proprio a una precisa situazione della sua memoria storica. Un’operazione fatta per esistere nella metropoli alle intemperie – e quindi un giorno a svanire – se asportata, anzi strappata, diventa inevitabilmente un’altra cosa. Diventa un oggetto snaturato che sarà artificialmente collocato in un luogo climatizzato.
La raffinata, sorprendente e diabolica tecnica dello strappo divelle il murale come un foglio e lo fissa su tela; ne fa quindi un quadro e, nel cambiare il supporto, ne tradisce il significato. Si comprime così uno degli ultimi processi-rituali della nostra epoca in un reperto-testimonianza che diventa, a contatto con il faretto che lo illuminerà, un falso artefatto.
Si pretende un’opera che non nasce come tale, si trasforma un processo con un telaio con l’attaccaglia, si tramuta una visione in un bene da museo a servizio della società con cui la Street Art non vuole avere nulla a che fare.

Tutti i sostenitori della mostra dei murali strappati, fra l’altro, riportano modelli evidentemente per loro ancora validi (il Partenone al British Museum, l’Obelisco di Axum e l’Altare di Pergamo a Berlino) che non sono certo esempi edificanti, ma storie di dominio e di predazione di un lontano e scomodo passato.
L’artista di strada ha un punto di vista diverso: la sua è una scelta consapevole di un campo che ha poco a che fare col sistema dell’arte. È una scelta di rottura, dove la strada, territorio di conflitti e cambiamenti, non ha mai avuto uno sfondo bianco.
Qualcuno tira dentro Pinturicchio e Botticelli, insomma “si è fatto sempre così” sembra dire, ma oltre ad essere diversi i tempi e i contesti, sono soprattutto i fini molto differenti, semplicemente perché la Street Art non si pone in linea di continuità con l’arte."

Tra i tanti che hanno detto la loro anche il famoso storico dell'arte Renato Barilli ma il fatto degli stacchi apre anche diverse implicazioni giuridiche interessanti che vengono riassunte sempre da artribune. Qui ne potete sapere di più: http://www.artribune.com/2016/01/street-art-bologna-diritto-autore-legge/

Nessun commento:

Posta un commento